Impatto della privacy sull’ambiente: il sondaggio Veritas
Una ricerca della Veritas Tech. fa luce sull’impatto della privacy e la sua gestione, sul consumo di energia e l’ambiente. Secondo questo sondaggio i consumatori sanno come le aziende siano responsabili della gestione dei loro dati in rete. Il 44% di loro crede infatti sia compito delle organizzazioni di disfarsi di informazioni non più necessarie.
Una ricerca di Veritas Technologies, leader nel multi-cloud data management e cyber sicurezza, ha rivelato che il 42% dei partecipanti ad un sondaggio internazionale si sono dichiarati pronti a boicottare l’acquisto da aziende che non si impegnino a ridurre al minimo la produzione di dati inutili o non desiderati. Ma non solo: secondo questa ricerca l’impatto della privacy investirebbe anche il consumo di energia e quindi l’ambiente.
Il 43% degli intervistati ha infatti espresso preoccupazione per il fatto che i data center producano il 2% delle emissioni di carbonio a livello globale. Il 56% si aspetta dunque dalle aziende maggiore attenzione ai danni ambientali causati dal mantenimento dei dati in rete, incoraggiando gli utenti a chiudere i propri account non utilizzati, fornendo linee guida per eliminare informazioni obsolete.
Ian Wood, capo della tecnologia UK&I di Veritas Technologies, ha così commentato:
“Per chiunque gestisca un’azienda, occorre porre molta attenzione sui data center, le cui emissioni di anidride carbonica sono equivalenti a quelle del trasporto aereo”
Stando alla più recente ricerca, entro il 2030 i centri di elaborazione dati consumeranno fino all’8% dell’energia globale. Si rende così necessaria una presa di coscienza sull’impatto ambientale della privacy e quindi su quei costi ambientali nascosti che contribuiscono a questi servizi tecnologici, promuovendo una rivalutazione degli effetti dello storage digitale sull’ambiente, spingendo all’esplorazione di alternative più sostenibili. Questa indagine cerca di rafforzare questo sentimento, mostrando come, in media, la metà dei dati immagazzinati dalle aziende o siano superflui, obsoleti o di scarsa rilevanza (ROT), oppure “oscuri” (in quanto di valore sconosciuto): di fronte a questi dati, solo il 15% conta davvero ai fini della produzione aziendale.
Secondo quanto sostenuto da Wood, “nel mondo odierno, dove le aziende si fondano sui servizi cloud per lo storage dei dati, non è possibile trascurare l’impatto ambientale di pratiche di gestione inadeguate. Mentre sempre più consumatori ricercano una riduzione del loro impatto sull’ambiente, le aziende possono generare una quantità di inquinamento significativa per lo stoccaggio di dati non necessari. È importante che le organizzazioni abbraccino pratiche sostenibili per tenere al minimo la propria impronta ecologica e preservare l’ambiente. Tanto che una buona metà dei clienti ormai è pronta a rifiutare l’acquisto presso le aziende che ignorino di affrontare questo problema”.
Rimuovere dati superflui offre quindi un rientro superiore al costo e al rischio che deriva dal mantenerli. Si tratta, infatti, di un modo per avvantaggiare l’aderenza normativa, abbassare costi e, al contempo, stabilire una relazione di fiducia, coerente e solida, con i propri clienti.
Impatto della privacy sull’ambiente: metodologia della ricerca allegata
La ricerca, condotta da 3Gem per conto di Veritas, ha intervistato 13.000 consumatori in Australia, Brasile, Cina, Francia, Germania, Singapore, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone tra il 1° e il 16 febbraio 2023.
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