Cookie di terze parti e profilazione di contesto, cosa succede?

Cookie di terze parti e profilazione di contesto, cosa succede?

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Google sta per dire addio ai cookie di terze parti su Chrome. Una scelta che, per gli esperti di marketing, webmasters ed utenti, comporterà dei cambiamenti notevoli.

Per capire meglio partiamo dalle basi: i cookie. Iniziamo con i cookie essenziali, funzionali e di performance, che rispettivamente garantiscono il corretto funzionamento di un sito web, assicurano un’esperienza gradevole all’utente – es. classico la selezione della lingua o del paese – e raccolgono statistiche sul comportamento dell’utente. Ma ci sono anche i cosiddetti cookie di terze parti, inseriti nei domini da fornitori esterni, tipicamente sotto forma di API. Questi cookie, noti anche come codici di tracciatura, consentono di raccogliere informazioni sugli utenti che visitano più piattaforme, delineando delle profilazioni utente di grande utilità per il mondo del digital advertisement.

Negli anni si è fatto sempre maggiore pressione sui fornitori di browser come Google affinché limitassero l’utilizzo dei cookie di terze parti. Ed ecco che arriva la decisione di disabilitare questa funzione in Chrome dalla seconda metà del 2024. Una decisione importante, visto che Chrome è leader mondiale nei browser, con una quota di mercato del 65%.

Ciò che si domandano adesso tutti è: perché attendere fino al 2024? E quali conseguenze comporterà questa decisione per operatori e utenti dei siti web? Ora, al di là delle tempistiche, lannuncio della fine dei cookie di terze parti ha scosso il mondo della pubblicità digitale. Gli strumenti che abbiamo sempre conosciuto saranno meno efficaci o, nella peggiore delle ipotesi, smetteranno del tutto di funzionare.

In questo articolo vediamo quali sono le ragioni principali che hanno portato Chrome e gli altri browser basati su Chromium a sospendere i cookie di terze parti (mentre Firefox, Edge e Safari lo hanno già fatto) e quali sono le conseguenze per inserzionisti, editori, autori e aziende in genere. Vedremo poi quali soluzioni si delineano all’orizzonte, con delle considerazioni utili a non incappare in spinosi problemi.

Nella sostanza: quando tutti i browser più diffusi bloccheranno i cookie di terze parti, pubblicizzare un brand diventerà molto più complicato e non sarà più possibile profilare laudience in maniera accurata. La rete rischia quindi di essere invasa da messaggi poco personalizzati, con conseguente calo dei ROAS (ritorno sugli investimenti pubblicitari). Per evitare tutto ciò, gli inserzionisti dovrebbero cogliere loccasione per iniziare a raccogliere in maniera strutturata le informazioni sui propri clienti (CRM, CPD, contatti offline etc) e iniziare a creare campagne mirate, basate sui dati raccolti. Si tratta di una sfida che può diventare, come in ogni circostanza di passaggio/crisi, anche un‘ottima opportunità: a patto che si punti sullutilizzo di dati affidabili e sullintegrazione delle tecnologie adeguate.

Con l’abbandono dei cookie di terze parti, cosa accadrà ai web publisher?

Secondo un rapporto dell’IAB, le perdite di ricavi pubblicitari legate alla disattivazione dei cookie di terze parti potrebbero sfiorare i 10 miliardi di dollari. Secondo i dati di ricerca Google, la maggior parte dei publisher potrebbe subire una perdita di fatturato compresa tra il 50 e il 70%, se questi soggetti non si adegueranno al nuovo assetto di gestione dei dati e delle promozioni.

Ma perché si ridurrà il fatturato? I marchi destineranno i loro budget pubblicitari verso siti dotati di sistemi di autorizzazione che consentano di raccogliere e gestire in modo costante i dati degli utenti. Si tratta di piattaforme tecnologiche di grandi dimensioni, come Facebook, Amazon, YouTube, ma anche di quegli editori che ricevono i dati dei loro utenti al momento della registrazione.

Si prevede inoltre che diventerà sempre più popolare un modello di acquisto pubblicitario basato sui costi a click (CPC) e a azione (CPA), poiché non richiedono il controllo sulla raggiungibilità e frequenza. Tuttavia, questo genere di modelli sono meno remunerativi per gli inserzionisti. Gli inserzionisti avranno meno fiducia nel sistema programmatico fino a quando i sistemi di verifica non verranno ricostruiti in modo tale da non aver più bisogno di cookie di terze parti. Una parte dei budget verrà spostata sulla pubblicità mobile su dispositivi Android, dove le opzioni di profilazione non sono ancora limitate.

Apple, tuttavia, ha già imposto restrizioni all’identificazione degli utenti con iOS14. I cookie non sono tuttavia l’unica soluzione. Quali sono le alternative? Appena Google ha annunciato la sua intenzione di interrompere l’utilizzo dei cookie di terze parti, i principali attori dell’Adtech hanno cominciato a cercare alternative in grado di sostituirli. Dopo un primo periodo, tra il 2021 ed il 2022, zeppo di offerte – da subito se ne registrarono più di 50, da Google Turtledove a Google Fledge, per passare a ID5, Admixer , Nielsen Identity (ora Nielsen One) e Prebid ShareID. Tra tutte una sta definitivamente prendendo il sopravvento, non foss’altro perché si tratta di quella proposta da Google.

Cookie di terze parti e l’opzione Google Topics

Tra tutte le proposte finora elencate va ricordata anche la prima proposta di Google. Il 3 marzo 2021, Google ha annunciato che i suoi prodotti non avrebbero più utilizzato identificatori basati sui dati personali degli utenti, in seguito all’abbandono dei cookie di terze parti. Al loro posto, l’azienda di Mountain View sceglieva di concentrare la propria attenzione sull’analisi dei gruppi, la cosiddetta cohort analysis. La soluzione di avanguardia costruita con queste logiche prese il nome di Google FLoC: Federated Learning of Cohorts. L’algoritmo FLoC monitorava il comportamento degli utenti sui siti web e li raggruppava in gruppi basati sui propri interessi, che potevano poi essere utilizzati con le pubblicità. FLoC presentava i seguenti vantaggi:

  1. gli utenti sono raggruppati in base alla loro storia di navigazione, e i loro dati non vengono inviati a server esterni;
  2. il targeting avviene sulla base dei gruppi cui appartengono gli utenti, e non sugli ID individuali;
  3. l’ID del gruppo impedisce la tracciabilità del singolo utente tra i diversi siti;
  4. affinché un gruppo possa essere profilato, deve far parte almeno di mille utenti.

Tuttavia questa soluzione è stata velocemente testata ed altrettanto velocemente abbandonata. Google ne posticipò i test in Europa, in attesa di valutarne la compatibilità con il RGPD. Il problema più grande era rappresentato nel fatto che il browser Chrome aggiungeva un utente ad un gruppo, assegnandogli un identificatore: il RGPD interpretava tutto ciò come una trasmissione di dati personali. Dato che gli utenti non forniscono mai un consenso esplicito ai siti web per usare i loro dati al fine di creare i gruppi, la decisione di Google fu poi ritirata.

cookie di terze parti FORBES categorie

 

La successiva soluzione è stata quindi quella già ventilata agli albori di questo cambiamento: il targeting contestuale, basato sulla visione di pagine e sezioni di uno specifico sito web, senza richiedere i dati identificativi. Ad esempio, Forbes USA ha suddiviso i contenuti del proprio sito in sezioni molto precise come lifestyle, business, entrepreneurship, tecnologia ecc. e più nel dettaglio cars, sports, finance, leisure. Il tutto al fine di offrire segmenti di utenza unici anche in assenza di un ID utente.

Inutile dire che i leader di questo campo sono le grandi aziende tecnologiche. Il Washington Post, di proprietà di Amazon, ha già messo in produzione il sistema Arc Xp. Una piattaforma che raccoglie dati sugli utenti e mostra annunci Zeus Prime. A Febbraio 2020 IAB Tech Lab lanciava il progetto Rearc. Il progetto ha sviluppato principi di identificazione degli utenti, delle segmentazioni dei dati e la conservazione anonima dei recapiti. Tali iniziative hanno avuto un seguito anche dal Progetto PRAM (Partnership for Responsible Addressable Media), un’alleanza di media, brand e fornitori che s’impegna a creare una infrastruttura per le relazioni commerciali in rete, consentendo contemporaneamente agli utenti di mantenere la privacy e alle aziende di conservare i loro introiti da pubblicità.

Durante IAB ALM 2021, il CEO di IAB David Cohen ha invitato Apple e Google a unirsi al resto dei player del mercato al fine di creare una soluzione che mantenga l’ecosistema di advertising digitale aperto e non dia alcun vantaggio competitivo a determinate aziende. Ad oggi lo scenario è ancora molto confuso, tant’è vero che in tema di privacy, soprattutto in ambito UE, sono non poche le difficoltà degli operatori ad addivenire ad una perimetrazione certa ma che allo stesso tempo non sia ipocritamente vessatoria nei riguardi di tutti i players, indipendentemente dalla loro capienza.

 

È proprio in tale contesto di transizione permanente che Google sviluppa il sistema Google Topics, frutto della passata esperienza negativa di Floc. Con Topics, Google offre alle piccole aziende, ai professionisti e ai lavoratori autonomi un nuovo strumento per mirare l’advertising cercando di offrire, al contempo, un’esperienza digitale maggiormente orientata alla privacy. Il tutto sempre inserito nell’ecosistema Privacy Sandbox.

Il funzionamento è molto semplice: il browser ricerca un argomento – come “Fitness” o “Viaggi e Trasporti” sulla base della navigazione dell’utente. Il tutto sarà conservato per 3 settimane, poi cancellato. E, cosa più importante, non coinvolgerà alcun server esterno, incluse le impostazioni di Google. Una volta che l’utente visita un sito partecipante, Topics seleziona solo 3 topic, uno per ognuno delle ultime 3 settimane, da condividere con il sito e i suoi partner pubblicitari. Chrome Privacy Sandbox prevede anche dei controlli per l’utente, permettendo di visionare gli argomenti di suo interesse, rimuovere quelli che non sono più corrispondenti o disattivare completamente la funzione.

La domanda, però, è se questo sistema orientato sugli argomenti, che mira a permettere agli inserzionisti di focalizzare la pubblicità su un numero limitato di ampie categorie di contenuti determinate dal browser, possa essere realmente efficace. Al momento sembrerebbe che il passaggio da FLoCs a Topics sia desiderabile per la gran parte degli inserzionisti. I FLoCs erano gruppi opachi e arbitrari di persone prive di significato davvero identificabile con un essere umano, che richiedevano l’utilizzo di Machine Learning od altri approcci per identificare quali FLoCs erano rilevanti per un’adeguata profilazione. I Topics invece rappresentano un insieme di regole, una organizzazione delle categorie di facile comprensione: cinema>thriller, assicurazioni>casa, sport>tennis e così via.

Quando si parla di granularità nella profilazione, tuttavia, le 350 categorie offerte da Google non sono ancora sufficienti: sarà quindi necessario attendere una ulteriore evoluzione di questo delicatissimo scenario tecnologico.  

Perché hai letto questo aggiornamento in tema privacy?

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